Abbattimenti dei cervi nel Parco nazionale dello Stelvio trentino: paradosso a spese del territorio

Si spara per caccia in un’area protetta: la carne sarà venduta a partire da 3,5 euro al kg.

Nel settore trentino del Parco dello Stelvio è partita la caccia al cervo. Lo ha deciso la Provincia autonoma di Trento con una delibera, entrata in vigore martedì 7 novembre 2023, in linea con il “Piano di conservazione e gestione del cervo 2022-2026”, pensato per ricomporre gli squilibri ecologici (come previsto dalla Legge quadro sulle aree protette) causati dai numerosi cervi presenti all’interno dei confini del Parco nazionale dello Stelvio-Trentino, in un arco di tempo di almeno cinque anni.  Il Piano è suddiviso in due fasi: durante la prima, sperimentale, si potranno prelevare a fini di controllo fino a 180 cervi all’anno dall’area protetta, nel triennio successivo questo numero potrebbe arrivare ai 400 prelievi all’anno, in base alle valutazioni che verranno fatte dopo la prima fase.

Il Progetto originario, approvato dall’ISPRA (Istituto Superiore per la Protezione e Ricerca Ambientale), in realtà risale al 2008: prevedeva la realizzazione di “abbattimenti di controllo” nell’area protetta, ma è stato sospeso per diverso tempo a causa di alcuni ricorsi e di inverni particolarmente rigidi che hanno provocato un’elevata mortalità naturale dei cervi nella zona. Il numero di esemplari nella parte trentina del Parco dello Stelvio è poi tornato a crescere: la stima della consistenza primaverile del cervo nell’intera Unità di gestione PNS–Val di Sole è di circa 2.900 cervi, nel Parco è di circa 1.600 individui. Quanto peso ha avuto l’interesse primario di limitare i danni economici alle attività umane utilizzando addirittura dei “selecontrollori” (cacciatori formati ed autorizzati ad entrare nell’area protetta) all’interno del parco dello Stelvio trentino?

Ma perché, ci chiediamo noi, l’unica soluzione vagliata è che i cervi debbano essere eliminati?

Gli effetti e gli impatti – scrive la Provincia – generati dall’alta densità di cervi all’interno del Parco, una cifra variabile con gli anni fra i 1.000 e i 2.000 individui nel periodo estivo e autunnale, sono in sintesi: il forte impatto generato dal brucamento sul patrimonio forestale (le gemme delle piantine di rinnovazione); la semplificazione e riduzione dello strato arbustivo e del sottobosco nelle aree di forte concentrazione invernale con gli effetti a cascata sulla biodiversità forestale; gli impatti sui prati a sfalcio nei quali il cervo si alimenta nei mesi primaverili (che causano ammanchi di fieno di circa il 20-30%); i fenomeni di competizione con il camoscio e il capriolo, che hanno visto una significativa riduzione di queste specie a favore del cervo. Sono dati innegabili, ma che invitano, piuttosto, ad istituire d’urgenza un Tavolo tematico di confronto, a livello nazionale, dove gli esperti di ambiente propongano una soluzione eco-compatibile, che già altre realtà sperimentano con successo (vedasi, come ispirazione al “poter fare”, la mobilitazione di giugno 2023 della Germania per salvare i cuccioli di cervo dalla falciatrici di fieno…).

I cervi abbattuti saranno, pertanto, messi in vendita direttamente dal Parco dello Stelvio (!!): ben 2/3 saranno oggetto di possibile prelazione da parte dei cacciatori (ai quali spetteranno alcuni rimborsi per il “lavoro” svolto), mentre i restanti potranno essere acquistati presso il Centro per la raccolta e la lavorazione della selvaggina. La delibera di Giunta ha già previsto il prezzo di vendita: si parte da 3,5 euro al kg. Il peso dell’animale “verrà calcolato sulla carcassa completamente eviscerata, ma provvista di testa, pelo e zampe“. I capi invenduti saranno donati ad Enti pubblici, Organizzazioni di volontariato, Associazioni ed altri Enti privati senza scopo di lucro. Più che una gestione controllata della proliferazione della fauna selvatica, sembra piuttosto un tributo al mercato delle carni!

Siamo di fronte ad un paradigma ormai consueto, che delega tutto alle Autorità amministrative, senza considerare l’obiettivo ultimo: la gestione del territorio da intendersi come spazio condiviso tra uomini e fauna selvatica, per garantire l’equilibrio dell’ecosistema. Negli scorsi mesi, anche gli ambientalisti hanno espresso contrarietà sul progetto: assurdo che si possa sparare in un Parco Nazionale! C’è un evidente conflitto di interesse nell’affidare ai cacciatori il prelievo selettivo dei cervi e finora non sono stati ancora avviati i necessari Tavoli di confronto. Un modus operandi che non tiene conto dell’esigenza di equilibrio che il territorio esprime. Secondo altre stime, poi, la popolazione di cervo nel Parco è notevolmente diminuita negli anni più recenti, anche per il fenomeno della migrazione: si teme che con la caccia questa “fuga” prosegua. Si continua a considerare la fauna come un elemento decorativo privo di diritti, la cui utilità viene anche misconosciuta e negata. Un’impostazione decisamente superata e che ci porta fuori strada. La gestione del territorio è complessa e non può essere liquidata facendo sparare i cacciatori all’interno del Parco Nazionale.

L’UNAAT crede fermamente nel concetto di “equilibrio” come fulcro di un nuovo modello di gestione del territorio, inteso come incontro tra tradizioni ed elemento naturale, tra capacità antropica di trasformazione e resilienza della Natura. “Avremmo preferito che fossero coinvolti anche altri soggetti nella decisione: cittadini, coltivatori, naturalisti, esperti di ambiente… Non è stata valutata nemmeno l’alternativa naturale, l’inserimento di predatori naturali come i lupi, per assecondare il ciclo vitale naturale. Si può fare di più e meglio per tutelare il Pianeta che lasceremo ai nostri figli e alle generazioni future!”, le parole di Mario Serpillo, Vicepresidente nazionale dell’UNAAT.