Sempre meno neve, ripensare il turismo montano

In Italia ben 265 impianti in disuso perché non nevica più, rimangono scheletri e mostri di cemento

Nel nostro Paese c’è sempre meno neve, e sempre più impianti sciistici abbandonati. Pesante anche l’impatto ambientale. La crisi climatica sta trasformando il volto delle montagne italiane anche se il turismo invernale non demorde, ma è in evoluzione in quanto sta diventato sempre più costoso e riservato a pochi.

Il dato numerico sugli impianti

Secondo il dossier Nevediversa 2025 di Legambiente, il numero degli impianti sciistici dismessi in Italia ha raggiunto quota 265, raddoppiando rispetto al 2020. Alpine le regioni più colpite; il Piemonte (76 impianti dismessi), la Lombardia (33), l’Abruzzo (31) e il Veneto (30). L’assenza di neve e il riscaldamento globale stanno incidendo anche sulle infrastrutture esistenti, con 112 impianti temporaneamente chiusi e 128 in funzione solo a intermittenza.

Qual è il futuro del turismo invernale?

I dati sono impietosi: secondo la Fondazione Cima al 13 febbraio 2025 il deficit nevoso rispetto alle medie storiche è drammatico. Sulle Alpi, tra i 1.000 e i 2.000 metri, la riduzione dell’innevamento è del 71 per cento, sugli Appennini arriva al 94 per cento. Anche a quote più elevate, tra i 2.000 e i 3.000 metri, il calo è del 43 per cento sulle Alpi e del 78 per cento sugli Appennini.

Per Legambiente è necessario un cambio di paradigma: investire su un turismo dolce, sostenibile e meno dipendente dalla neve. A tal proposito esiste ad esempio il progetto europeo BeyondSnow, guidato da EURAC Research, che mira proprio a supportare le stazioni sciistiche di mezza quota nella transizione verso modelli alternativi.

L’innevamento artificiale, pratica sempre più diffusa

E’ chiaramente un dramma per chi vive di turismo, ma, ancora di più, un monito per l’ambiente. Sempre più diffusa la pratica dell’innevamento artificiale, con 165 bacini di accumulo censiti per una superficie totale di quasi 1,9 milioni di metri quadrati e relativo consumo di acqua e di energia.

La Valle d’Aosta, con 14 bacini, è la regione con la maggiore estensione di superficie occupata da questi impianti (871.832 mq), seguita dal Trentino-Alto Adige (60 bacini) e dalla Lombardia (23). Il tutto non solo a costi esorbitanti (10 milioni di euro in quattro anni in Piemonte, 5,3 in Friuli Venezia Giulia) ma soprattutto con un forte impatto ambientale.

Sempre meno neve, mostri in disuso

L’impianto simbolo di questa crisi è la bidonvia di Pian dei Fiacconi, sul versante nord della Marmolada, chiusa dal 2019 e devastata da una valanga nel 2020. Oggi rimane un pugno nell’occhio in un’area Patrimonio Unesco: un esempio di come la montagna venga spesso lasciata a sé stessa, senza progetti di recupero o riqualificazione. Ma la situazione è grave anche in altre località.

Il rapporto denuncia la presenza di 218 impianti sciistici sottoposti a veri e propri “accanimenti terapeutici”, ovvero interventi costosi per mantenerli in vita nonostante le prospettive di sostenibilità siano ormai inesistenti. Il numero di questi impianti è più che raddoppiato rispetto al 2020, con la Lombardia (59), l’Abruzzo (47) e l’Emilia-Romagna (34) in testa alla classifica.

L’impatto ambientale della mancanza di neve è molto pesante

Il costo della settimana bianca

Mentre gli impianti di risalita chiudono o arrancano, i costi della “settimana bianca” continuano a salire. Secondo Nevediversa 2025, una famiglia di tre persone spende in media 186 euro al giorno solo per accedere agli impianti di risalita e alle piste. Per una settimana bianca, un adulto spende circa 1.453 euro, mentre un nucleo familiare di tre persone arriva a 3.720 euro. L’aumento dei prezzi riguarda anche hotel (+5,1 per cento), scuole di sci (+6,9 per cento) e ristorazione (+8,1 per cento), rendendo sempre più esclusivo il turismo invernale.